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| Tratto da un articolo di Stefano Affolti sul Giornale La ProvinciaDa Cocquio sbarco sulla lunaThomas Larkin, cresciuto nei Mastini, racconta l'impatto con i Columbus Blue Jackets «Via da casa a 14 anni. Ho provato davanti a Tv e tifosi, mi hanno pure chiesto l'autografo»Stecche di famiglia: papà Mark, Thomas Larkin, mamma Elena e nonna LisaCOCQUIO TREVISAGO. A guardarlo e sentirlo parlare, Thomas Larkin dimostra più dei suoi baldi 18 anni: mamma Elena spiega che è sempre stato così e racconta di quando ne aveva quattordici, andò da solo in Canada, perse una coincidenza aerea a Vancouver e, invece di frignare, risolse l'impiccio con un giro di telefonate, premurandosi pure di rassicurare a casa. Da ieri il gigante di Cocquio, primo italiano di sempre draftato nella Nhl, è a Vipiteno con la nazionale giovanile: saranno vacanze particolari per un ragazzo che, cresciuto nel vivaio dei Mastini varese, lo scorso 27 giugno è stato scelto al quinto giro, col numero 137, dai Columbus Blue Jackets. Per lui è più vicino il sogno di giocare, un giorno, tra i pro. Papà Mark gongola: " Thomas sta superando una strettoia dopo l'altra. Pochi possono studiare in America, pochissimi arrivano ai vertici dell'hockey universitario, ancora più rara è la chiamata di un team professionistico. In questi anni abbiamo fatto dei sacrifici, economici e affettivi, visto che è andato via di casa a 14 anni: ma nessuno gli ha regalato niente". Thomas, rivediamo il film di sabato 27 giugno." Una sorpresa non preceduta dalle solite soffiate. Ero con degli amici a Chicago: non volevamo friggere tutto il giorno davanti al pc, invece di seguire il draft andammo in palestra. Stavo facendo degli esercizi quando mi chiamarono al telefonino e mi diedero la notizia. Per prima cosa avvisai a casa, dove erano tutti in fibrillazione. Poi corsi a preparare la valigia e a prenotare il volo per Columbus su internet: mi aspettavano già l'indomani mattina per un training camp". Columbus, Ohio. Una franchigia di recente fondazione, in Nhl dal 2000." Quest'anno ha disputato per la prima volta i playoff, eliminata 4-0 dalla fortissima Detroit. Sta crescendo: non c'è la pressione enorme delle piazze storiche, però non vuol perdere tempo sulla via della massima competitività. Mi hanno portato subito a vedere la città, la sede, gli impianti. Mi sono aggirato nello stadio, ho ricevuto l'attrezzatura e la divisa, mi sono cambiato nello spogliatoio della prima squadra. E poi ho lavorato sulla pista principale con il capo allenatore Ken Hitchcock, che guiderà il Canada alle Olimpiadi 2010. Tutta roba da pelle d'oca, sotto gli occhi di tifosi e telecamere delle tv locali". Cosa ti ha colpito di più?" L'organizzazione certosina: fanno il bucato agli indumenti ogni giorno, finora avevo sempre lavato tutto da solo... quando capitava. E l'attenzione della gente: l'ultimo giorno un tizio tarchiato con la barba, che probabilmente manco sapeva chi fossi, mi ha chiesto l'autografo. Ero imbarazzatissimo, la mia firma non vale niente... Alla tortura della divisa sociale, invece, ero già abituato: pure a Exeter mi toccavano giacca e cravatta. E dovevo sbarbarmi ogni giorno, tranne durante i playoff". Il draft è una specie di promessa: per ora niente Nhl, farai il college." A Colgate, nello stato di New York: studierò materie economiche. La scelta dell'indirizzo avverrà al terzo anno, per ora ?assaggerò? vari corsi. È una delle università hockeysticamente più prestigiose, ci allenerà un santone come Don Vaughan. Sapeva che mi avrebbero scelto, è stato il primo a chiamarmi ed è venuto subito a vedermi al camp. Da uno così posso imparare tantissimo. Teoricamente Columbus ti può offrire un contratto in qualunque momento. Il mio cammino per ora prosegue come se nulla fosse successo: conto di laurearmi in quattro anni, i miei genitori lo sperano. Intanto gli osservatori mi seguiranno: se mi giudicheranno pronto già tra due-tre anni, sarò al bivio". La Colgate UniversityMagari transitando per le leghe minori?" Meglio di no, sono un'arma a doppio taglio: le rigide regole Ncaa impediscono i doppi tesseramenti, se cambi lega non puoi tornare indietro perché non sei più un amatore. Siccome tengo all'università e non ho fretta, preferirei un percorso lineare". Quanto costa e quanto impegna l'università?" Le rette sono carucce, ma non mancano le borse di studio per meriti didattici e sportivi. Nel mio caso, probabilmente, avrò uno sconto sul secondo biennio. Ci sono standard e medie-voto da rispettare, con qualche elasticità: per esempio, se un esame coincide con una trasferta lo posso sostenere col coach, che è pur sempre un docente. Incentivi a uno sport intelligente che fanno parte della cultura americana". Perché hai scelto Colgate?" Hanno tradizione. Puntano sulla qualità: siamo in sei draftati su 25, un paio potevano andar via ma hanno preferito rimanere. E poi a Colgate quasi tutti i giocatori si laureano: capiscono che c'è comunque un altro futuro da costruire. L'ambiente è particolare: una piccola cittadina in cui tutti coccolano la squadra e alle partite vengono quattromila spettatori. Spesso la gente preferisce i team universitari, perché apprezza chi è affamato e gioca per l'onore più di chi prende tanti soldi". C'è tanta competitività." Siamo appena sette difensori: bisogna guadagnarsi il posto ogni giorno, ma chi lo fa ha buoni minutaggi a ottimi livelli. A Exeter ero capitano, eppure non avevo la certezza di giocare. E se sbagli devi imparare in fretta: da debuttante causai un gol perdendo stupidamente il disco, capii l'errore e da allora ci misi più grinta". Sfogliamo l'agenda americana." Dal 20 agosto sarò al camp estivo di Colgate. Il 9 ottobre partirà il campionato di prima divisione, il torneo universitario più importante. Non vedo l'ora: sono già in contatto via internet col mio futuro compagno di camera, il canadese Jeremy Price, anche lui difensore, scelto dai Vancouver Canucks. Sono sicuro che diventeremo grandi amici e ci stimoleremo a vicenda. Trovarmi a questo punto era il mio obiettivo quando, nel 2004, sono andato negli States, ripetendo anche la prima liceo perché ero troppo giovane". Nato e cresciuto al Pala Albani«Varese fucina di passione e giocatori. Non morirà»COCQUIO TREVISAGO. L'italianità fa di Thomas Larkin un panda nel mondo hockeystico a stelle e strisce. " Mio padre è irlandese e fisicamente ho preso da lui: sono alto 1.96, biondo con gli occhi azzurri. Si accorgono delle origini quando telefono a casa e parlo italiano. Allora si stupiscono, come fanno fatica a credere che da noi si giochi davvero a hockey. Gli americani sono un po' supponenti, hanno lo stereotipo dell'Italia tutta pizza, mafia e mandolino, tanti non hanno mai messo il naso fuori dagli Usa. Nei campionati universitari ci sono pochissimi europei: anche questo è un muro da abbattere. Non ho ancora conquistato niente, però la mia storia dimostra che sognare l'Olimpo è possibile, anche partendo da Varese. Certo, c'è un prezzo da pagare: bisogna mettersi in gioco, mollare le certezze e ricominciare da zero. Consiglio almeno una stagione oltre Atlantico a tutti i ragazzi che davvero vogliono misurare le loro ambizioni". Il giovane LarkinL'ex cucciolo di mastino ha parole dolci e premurose per i suoi colori del cuore: " Quando ho cominciato non ero granché: devo molto all'ambiente del Palalbani e a un maestro come Janez Finzgar. So che i gialloneri non attraversano un momento facile, che c'è il rischio di non avere la serie A2. Ai possibili sponsor dico di crederci e impegnarsi, perché non è vero che non c'è visibilità: il nome della squadra è sulla bocca di tutti. A Fiori e alla società dico di insistere: in questi anni hanno fatto un bellissimo lavoro, sfornando formazioni giovanili in grado di ottenere grandi risultati e consentendo a diversi ragazzi di approdare in azzurro". C'è spazio anche per un appello: " Qui la cultura c'è, il materiale umano pure: vale la pena di investirci, si possono fare cose buone. L'hockey a Varese ha una storia e deve avere un futuro". Edited by @ntowps62 - 20/7/2009, 12:12
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